Linea di condotta

Nel bar all’angolo, seduti ai tavolini, con la Ceres davanti e la Marlboro in bocca, guardano quello che sta succedendo a Firenze. Ci conosciamo bene visto che da anni entro qui tutti i giorni per il caffè, la birra e le sigarette. Loro si riconoscono o simpatizzano o pensano di trovare qualche risposta in una delle tante sfumature di destra che tutti i giorni gli parlano dalla stessa scatola e che ora gli dicono che è uno scandalo che i senegalesi distruggano le fioriere.
Io passo per essere quello comunista. E per questo diversi di loro immaginano che sia matto. Non è il massimo, pure se si sa che spesso sono proprio i matti quelli che dicono la verità.
«Quelle fioriere le paghiamo pure io e te amico mio!» – mi apostrofa uno di quelli seduto a tavolino, che non mi ricordo più se in passato mi ha detto di votare Fratelli d’Italia o Lega o magari M5S – che cambia? – e che adesso intercetta il mio cipiglio.
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La rima con fegato. O sul perché è inutile attendersi che a essere “punite” siano le forze di polizia

Giuseppe Giusti

“Se invece di legàto si dicesse légato, ecco che avrei trovato una rima con fégato”.
Si racconta che così rispose il poeta Giuseppe Giusti, celebre per la sua abilità nell’avere sempre la rima pronta, a qualcuno che, cercando di metterlo in difficoltà, gli propose di trovare una rima all’unica parola italiana che non ha un corrispettivo in rima, fegato, appunto. L’ho imparato a scuola e immagino sia per questo che mi è tornato in mente adesso, vedendo come, parlando della maestra di Torino, celebre per aver insultato un branco di celerini nel corso di una manifestazione antifascista, si insiste con il dire che mentre quelli che hanno torturato in modo atroce decine di persone a Bolzaneto (penetrando vagine e ani con manganelli e rendendosi responsabili di molti altri innominabili atti di crudeltà e tortura) sono stati promossi, lei viene licenziata; si insite con il dire che mentre quelli che hanno ammazzato a manganellate un ragazzino di Ferrara (“sembrava un albanese”, sostennero le divise per giustificarsi) sono stati ricollocati in servizio, lei viene licenziata; si insiste con il dire che mentre quelli che puntini puntini (inserire a piacere al posto dei puntini uno qualunque tra le molte centinaia di omicidi, spesso a sangue freddo, commessi nell’ultimo mezzo secolo contro militanti politici o migranti o ragazzi di strada o… puntini puntini), lei viene licenziata. Continua a leggere La rima con fegato. O sul perché è inutile attendersi che a essere “punite” siano le forze di polizia

Quinto a Tormarancia, secondo a nessuno

Quinto Gambi: un quartiere intero, Tormarancia, aveva in lui il suo monumento vivente. Conoscerlo e frequentarlo, alzare con lui il gomito nel bar di Checchina, è stato un onore. Idolo dei bambini, a cui mai faceva mancare un dono, frequentava spesso gli occupanti di Casale De Merode. Figlio di partigiani, portava con sé l’orgoglio semplice della sua classe. E da qualunque parte del mondo provenisse una persona, se non era un palazzinaro era suo fratello… pure se questo non lo metteva certo al riparo dalle sue battute sulla cucina etnica!

Ciao Quinto.

Una maglietta vi seppellirà: come e perché i dannati della Terra continuano a “indossare” Ernesto Che Guevara

In fin dei conti, diceva Marx, un tavolo non è nient’altro che un pezzo di legno. O meglio, non è nient’altro che un pezzo di legno che un essere umano, con la sua attività, ha provveduto a cambiare in modo utile alle sue esigenze. E se fino a qui non c’è nulla di strano nell’osservare un pezzo di legno trasformarsi in “tavolo”, ecco che le cose cambiano nel momento in cui lo stesso soggetto, che pure non aveva problemi a constatare il come e il perché un pezzo di legno diventava tavolo, è costretto a perdersi nei gorghi della produzione, della promozione e della distribuzione per avere finalmente a che fare non più con una semplice materia prima quale il legno, né con un banale oggetto, come indubbiamente è il tavolo, ma con una presenza assai più inquieta: la merce. E «appena si presenta come merce», osserva Marx, con una penna capace di introdurre il lettore in regioni più straordinarie e spaventose di quelle in cui è entrata Alice passando attraverso lo Specchio: «Appena si presenta come merce il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare». Continua a leggere Una maglietta vi seppellirà: come e perché i dannati della Terra continuano a “indossare” Ernesto Che Guevara

Correvo pensando ad Anna

BOLOGNA, sabato 24 giugno: all’interno di una giornata dedicata al libro e all’editoria, presso il Vag61 di via Paolo Fabbri, alle ore 18.00 si terrà la presentazione del libro “Correvo pensando ad Anna – una storia degli anni ’70” (2017, edizioni DEApress).
Presenti l’autore Pasquale Abatangelo, l’editore DEApress Silvana Grippi e Cristiano Armati (scrittore ed editore).
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Chiedi chi era Lorenzo Bargellini

Chiedi chi era Lorenzo Bargellini. Nelle strade di Firenze o nelle vie di Roma, ovunque vi sia stato chi, scesa la sera, abbia dovuto raccogliere in qualche busta le sue cose per sdraiarsi su una panchina, infilarsi in una macchina abbandonata, rifugiarsi sotto un ponte. Continua a leggere Chiedi chi era Lorenzo Bargellini

Lo zaino di Sancho

Non sappiamo più da quanti anni è che incontrarci con lui faceva parte del rituale. Partendo dal Salone del Libro di Torino fino ad arrivare, più recentemente, al Book Pride, uno squillo sul cellulare annunciava immancabilmente il suo arrivo mentre, nel nostro stand, si liberava uno spazio per ospitare il suo zaino e la sua giacca, in modo che potesse essere più libero di girare tra i corridoi della fiera a caccia degli esemplari più pregiati di quelle creature da lui amate così tanto: i libri.
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Marco Vitello, rude boy

Dopo tante birre, una notte a San Lorenzo glielo dissi. Sono poche, pochissime le persone che, come lui, hanno saputo respirare il blues metropolitano e dargli una forma. Fatta d’aria, come quando soffiava nella sua armonica. O di materia, come quando scolpiva gli oggetti più diversi o disegnava. In simili, rarissime persone ho sempre visto realizzarsi in chiave umana e artistica ciò che per Gramsci era il sogno di un intellettuale organico, figlio e cantore del popolo. Stile, musica e attitudine lo rendevano un rude boy autentico, anche se non esistono categorie capaci di descriverlo usando solo le parole. Era Marco Vitello. Le strade di Roma lo piangono e lo ricorderanno sempre. Ciao grande.