Ma tu sei un compagno

Erano una decina. Non portavano la divisa ma non c’erano dubbi circa il loro lavoro. Mi avevano bloccato a terra, le braccia strette dietro spalle. Facevo fatica a respirare, però urlavo ancora.
Dicevo ai dipendenti dell’Assessorato delle Politiche Sociali che quella era l’occasione giusta per compiere un gesto di solidarietà nei confronti delle centinaia di persone senza casa che stavano assediando il palazzo, scuotendo i cancelli e facendo vibrare lo stabile. Che la disobbedienza civile, lo sciopero, la protesta, la lotta erano le uniche soluzioni per i tanti problemi comuni. Perché i loro stessi figli erano disoccupati e perché i loro stessi salari, per quanto (ancora) garantiti, non li tutelavano affatto dallo spettro della povertà. Facevo fatica a respirare e, con tutta la forza che neppure sapevo di avere, mentre mi bloccavano a terra stringendomi le braccia dietro le spalle, continuo a urlare finché, tra i dipendenti dell’Assessorato alle Politiche Sociali, incrocio il volto familiare di una persona intravista tante volte nelle manifestazioni e nei centri sociali: MA TU SEI UN COMPAGNO!, gli dico. Lui non risponde ma, abbassando gli occhi, fa cenno di sì con la testa. ANDATE SUBITO NELLE VOSTRE STANZE, intima la polizia ai dipendenti dell’Assessorato, e lui obbedisce mentre fuori centinaia di uomini e di donne di qualunque paese del mondo continuano a scuotere i cancelli e a urlare finché quelle maledette porte non vengono aperte e io stesso non mi ritrovo in mezzo a loro, sommerso dagli abbracci, di nuovo libero. Mentre la celere arretra, blocchiamo la strada, fermiamo i tram, OCCUPIAMO TUTTO: siamo più di mille, pronti a prenderci le strade per arrivare davanti alla Prefettura con lo striscione che dice GIUSTIZIA PER MAGUETTE e il giorno dopo torniamo in piazza con i nostri vecchi e i nostri bambini: tutti e tutte. Perché se diciamo che Roma non si vende chi è che – se non tutti e tutte – dovrebbe pensare a difenderla? Tra la folla, a un certo punto, intravedo chi aveva abbassato la testa mentre, nell’Assessorato, ero stato fermato dalla polizia. “Ma tu sei un compagno?”, mi chiedo.

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