L’articolo 5 del Piano Casa di Lupi e i militanti del Partito Democratico: ecco perché non potete non dirvi fascisti

Il 30 ottobre del 1922, dopo la marcia su Roma di alcune migliaia di militanti fascisti, il re Vittorio Emanuele III cedeva alle pressioni della piazza nera affidando a Benito Mussolini la presidenza del Consiglio.

Secondo i nostalgici si tratta del prologo della “rivoluzione fascista”: un evento che avrebbe consegnato all’Italia un ventennio di abiezione, la deportazione nei campi di sterminio dei cittadini di religione ebraica e degli oppositori del regime, l’annullamento di qualunque garanzia democratica e i milioni di morti della seconda guerra mondiale.

Si tratta, in effetti, di un periodo storico talmente cupo e scellerato che, nel corso del tempo, dopo aver dato una mano di vernice patriottica sui valori della Resistenza con l’obiettivo di annullare i valori di giustizia sociale che l’avevano animata, le narrazioni impegnate nel racconto e nell’analisi del fascismo hanno finito per rinchiudere gli anni di Mussolini all’interno di un paradigma dominato dall’eccezionalità: una parentesi senz’altro sconvolgente ma, a causa delle particolari condizioni che provocarono l’emersione del fenomeno, senz’altro irripetibile… ma è ancora possibile, oggi, accettare una simile visione delle cose?

Il 16 febbraio del 2014, Giogio Napolitano, nella veste di presidente della Repubblica, senza che il suo atto fosse suffragato da una qualche forma di consenso elettorale, prendeva atto della sfiducia ricevuta da Enrico Letta dalla direzione del suo Partito e conferiva l’incarico di formare un nuovo governo a Matteo Renzi, classe 1975, famoso per aver guidato un movimento detto “dei rottamatori” all’interno del Partito Democratico e per i discorsi pronunciati in manica di camicia… bianca: una sorta di divisa informale, da quel momento in poi adottata immancabilmente da tutti i sostenitori dell’ex sindaco di Firenze, non a caso detti “renziani”.

Se il vecchio Napolitano, novello Vittorio Emanuele III, guadagnava il soprannome di “Re Giorgio” grazie a un decisionismo più consono al vecchio regno d’Italia che non a una vera repubblica parlamentare, gli atti del nuovo governo Renzi non sono da meno e, immediatamente, si caratterizzano per un approccio a dir poco insofferente rispetto a quanto previsto dagli stessi dettami costituzionali.

In modo particolare, il governo Renzi si distingue per l’uso massiccio e disinvolto dello strumento del decreto legge: un dispositivo a cui l’articolo 77 di quel pezzo di carta straccia una volta chiamato Costituzione affida il ruolo di avere «effetto di legge» in frangenti di particolare necessità e gravità. Al contrario, e quindi contravvenendo alla stessa Costituzione, Renzi e i suoi ministri aggrediscono a colpi di decreti qualunque settore della vita pubblica e civile: dal lavoro, grazie al Jobs Act firmato da Poletti (DL n. 34 del 20 marzo 2014), alla cultura, con il decreto di Franceschini (DL n. 83 del 31 maggio 2014), fino ad arrivare alla casa grazie all’«interessamento» dello spietato Maurizio Lupi, oggi costretto alle dimissioni e sostituito dal fedelissimo di Renzi Graziano Delrio a causa del suo coinvolgimento in una brutta storia di tangenti e raccomandazioni, eppure confermato a suo tempo alle Infrastrutture e ai Trasporti anche dopo la defenestrazione di Enrico Letta.

Fatto passare con il tranquillizzante nome di «Piano-casa», il Decreto Lupi (DL n. 47 del 28 marzo 2014) reca il titolo di Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015 e, pur considerando: «L’attuale eccezionale situazione di crisi economica e sociale che impone l’adozione di misure urgenti volte a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto», e: «La necessità di intervenire in via d’urgenza per far fronte al disagio abitativo che interessa sempre più famiglie impoverite dalla crisi e di fornire immediato sostegno economico alle categorie meno abbienti che risiedono prevalentemente in abitazioni in locazione», finisce per sferrare un attacco senza precedenti a chi, nel corso degli anni, ha rappresentato l’unica, vera risposta al disagio abitativo, vale a dire i Movimenti per il Diritto all’Abitare. In che modo?

La pietra nello scandalo è contenuta nell’articolo 5. Dove, alla voce «Lotta all’occupazione abusiva di immobili», si afferma senza mezzi termini che: «Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge». Tradotto in parole semplici, Lupi e il suo decreto pretendono di spingere nell’invisibilità e di escludere da ogni forma di welfare chiunque abbia preso parte a un’occupazione abitativa e/o viva in una casa occupata. Al di là dei previsti distacchi di acqua e luce, misure contrarie ai più elementari diritti umani più che agli stessi diritti politici di qualunque cittadino, privare una famiglia della residenza, nei fatti, rende impossibile anche produrre i semplici certificati Isee e, di conseguenza, rende impossibile, o comunque molto difficile, iscrivere i bambini alle scuole. Ancora, senza residenza, si incontrano difficoltà nell’accedere ai servizi di medicina di base e, essendo questa parametrata su base circoscrizionale, priva persino dell’assistenza domiciliare i disabili che ne hanno diritto. Una vera e propria operazione di macelleria sociale, insomma. Resa ancora più crudele dagli articoli 3 e 4, con cui si facilità lo smantellamento dell’edilizia residenziale pubblica attraverso la messa in vendita degli stessi alloggi popolari che il decreto pretenderebbe di tutelare!

Eleanor Roosevelt la Dichiarazione universale dei diritti umani
Eleanor Roosevelt con la Dichiarazione

Con la conversione in legge del Decreto Lupi, il governo Renzi, tra le altre cose, si assume la responsabilità storica di andare a infrangere persino la Dichiarazione universale dei diritti umani; uno di quei pezzi di carta – sottoscritto in pompa magna a Parigi nel 1948 – spesso sbandierati di fronte all’opinione pubblica se si tratta di vantare la presunta superiorità occidentale o, magari, di “esportare” la democrazia a suon di bombe, ma che nell’Italia guidata dal Partito Democratico è contraddetto senza mezzi termini. Come viene affermato dall’articolo 25 della Dichiarazione, infatti: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo (…) all’abitazione”.

Eppure, se il governo Renzi ha avuto modo di svelare la sua vocazione liberticida anche sui provvedimenti che sono andati a interessare settori nevralgici come la Scuola e la Legge Elettorale, la natura apertamente fascista della legge sulla Casa è confermata dalla vergognosa continuità storica tra il Decreto Lupi e la famigerata Legge 1092 del 6 luglio 1939, comunemente detta «legge contro la residenza» o «contro l’urbanesimo», che, nei fatti, aveva trasformato gli immigrati italiani in soggetti privi di qualunque diritto – dalla possibilità di iscriversi alle liste di collocamento a quella di ricevere assistenza sanitaria, fino all’esclusione dalle liste elettorali – e, per questo, esposti a qualunque ricatto anche in tema di salario e condizioni lavorative.

Come tante altre cose, la legge contro la residenza, non soltanto non venne abolita dal nuovo regime democratico, ma rappresentò una sorta di leva con la quale fare della povertà, più che una questione sociale, un problema di ordine pubblico. In questo modo, chiunque si fosse trovato a vivere una condizione di emergenza abitativa veniva semplicemente fatto sparire, smettendo, grazie al provvedimento, di esistere dal punto di vista legale e, di conseguenza, di non poter pretendere un giusto compenso da parte del datore di lavoro né di rivendicare il diritto alla casa.

Una situazione scandalosa, una vera e propria ferita aperta nel paesaggio democratico italiano ma anche, in passato, il territorio sul quale fu possibile cogliere un’importate vittoria. Il 10 febbraio del 1961, infatti, dopo anni di lotte e mobilitazioni che non mancarono di costare denunce penali e feriti in piazza, veniva finalmente abrogata la norma fascista che limitava il diritto alla residenza. Fu un successo epocale e testimoniò una maturità politica che, ancora oggi, merita di essere sottolineata. Che fosse possibile, infatti, condurre in porto una battaglia unitaria ricomponendo all’interno di un interesse di classe le spinte centrifughe che, strumentalizzando la paura della concorrenza tra lavoratori, ostacolavano, anche da sinistra, la liberalizzazione delle residenze, era un fatto tutt’altro che scontato. Per arrivare a tanto, evidentemente, fu determinante la spinta delle proteste popolari, ma anche l’intelligenza e la perseveranza di alcuni tra i migliori dirigenti del Partito Comunista e delle associazioni collegate alla sinistra istituzionale. Oggi, che con l’articolo 5 del Decreto Lupi si torna a calcare i passi già seguiti dal fascismo, abrogando il principio della libertà di residenza conquistato a prezzo di lotte molto dure, lo si fa con un governo guidato dal Partito Democratico, ma anche con l’indegno silenzio delle stesse associazioni egemonizzate dal PD, a cominciare dall’Anpi, a cui in passato l’identico provvedimento aveva fatto orrore.

Parliamo, evidentemente, di altri tempi e di personaggi di ben altra caratura morale rispetto alle mistificazioni odierne. Ma, allo stesso tempo, descriviamo una situazione in cui l’impostazione dittatoriale del governo Renzi riesce, grazie all’azione di polizia, ad arrivare anche dove i poteri locali sono costretti a cedere di fronte allo scandalo di famiglie lasciate senza acqua e senza luce dalla legge formulata dall’inquisito ex ministro Maurizio Lupi.

Da questo punto di vista, un altra data da segnalare sul calendario dell’orrore è quella del 7 luglio del 2014 quando, a Bologna, si apprende dell’apertura di: “Un’inchiesta contro il riallaccio dell’acqua all’occupazione abitativa di via Mario de Maria ordinata dal sindaco Merola lo scorso 23 aprile”; una situazione resa ancora più grave, come denuncia in un comunicato la bolognese Assemblea Occupanti e Comitato Inquilini Resistenti con Social Log, dal fatto che: “Solo poche settimane fa anche la vice-presidente Gualmini della regione Emilia Romagna, a seguito di un tavolo di contrattazione sulle nostre istanze di lotta, ha garantito pubblicamente l’indisponibilità a recepire l’articolo 5 all’interno del piano casa regionale”.

Ciò che accade è che anche dove, a livello locale, si tenta una mediazione istituzionale rispetto alle contraddizioni aperte dalla legge nazionale, è il potere centrale a intervenire in senso oltranzista, sbandierando un ridicolo vessillo di “legalità” e affidando il ripristino dell'”ordine” alla magistratura e alla polizia. Non è facile evitare di vedere in un simile modo di procedere, oggi particolarmente evidente nel caso bolognese, una strategia da intendere come prassi del governo Renzi: ridurre gli organi del potere periferico a puri fantocci, dominati nei fatti da magistrati, prefetti e poliziotti scelti con cura tra i fedelissimi del Partito della Nazione e quindi piazzati nei posti ritenuti “giusti” dal nuovo Duce fiorentino.

Alla luce di simili considerazione, i valori dell’antifascismo trovano una compiuta necessità di dispiegarsi in forma diretta contro il Partito Democratico e le sue articolazioni. Mentre alle donne e agli uomini del PD ancora ciechi e sordi di fronte agli abusi compiuti da Renzi e dai suoi sgherri, ciechi e sordi di fronte al livello di violenza antipopolare di cui questo governo è colpevole; agli uomini e alle donne ancora organizzate all’interno di un Partito Democratico responsabile di scadere nell’abominio, insieme all’onta di essere detti senza mezzi termini fascisti e trattati come tali, non può che essere rivolto in forma di maledizione quanto scritto da Antonio Gramsci già nel 1917: “Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva (…). Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. (…) Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

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