7 novembre: Commemorazione e Rivoluzione

Piazza Santi Apostoli, Roma. Dal 10 agosto 66 nuclei familiari vivono accampati sotto i portici di una chiesa. Dal 10 agosto rifiutano di essere divisi e dispersi in strutture pseudoassistenziali. Dal 10 agosto dicono che si parte e si torna insieme e praticano con coerenza e sacrificio il valore della solidarietà. Nessuno di loro, si badi bene, ha in tasca “Il manifesto del Partito comunista” e non tutti sanno o ricordano che il 7 novembre di 100 anni fa la gente come loro si gettò contro il Palazzo d’Inverno facendolo proprio. Nessuno di loro, inoltre, dal 10 agosto ha più avuto la disponibilità di un bagno o di una cucina, anche se da tutta Roma l’intero popolo dei senza casa si mobilita tutti i giorni per garantire la colazione, il pranzo e la cena ai loro compagni e per ospitarli a turno in modo che ognuno possa farsi la doccia, riposarsi, fare studiare i ragazzi che vanno a scuola e giocare i bambini; per far sentire loro come sono tutt’altro che soli nella degna resistenza che stanno conducendo. Perché nelle tasche vuote di quelle famiglie c’è la pienezza della cosa più importante: l’interesse oggettivo che rende concreto e necessario il desiderio di cambiare lo stato di cose presente. Perché la rivoluzione non ha tempo di assistere ai suoi funerali ma vive in ogni casa che viene occupata. Buon 7 novembre alle famiglie di Santi Apostoli.

Il mercato e la rendita: come e perché è necessario che sempre più gente resti senza casa

Se esistesse una “legge di mercato”, le case – solo a Roma, di sfitte, ce ne sono centinaia di migliaia, milioni in tutta Italia – le svenderebbero a cassettate intere, esattamente come si fa al mercato, quello vero, con la frutta rimasta invenduta per tutta la giornata. Ma non esiste una “legge di mercato” che obbedisce a un qualche rapporto tra la domanda e l’offerta. Esiste, al contrario, un monopolio violento che reclama un interesse sempre più alto tanto con la forza bruta del manganello quanto con la persuasione dell’ideologia. Continua a leggere Il mercato e la rendita: come e perché è necessario che sempre più gente resti senza casa

Verso il “Manifesto del Partito comunista”. Introduzione a “Il libretto rosso dei comunisti” di Friedrich Engels

Friedrich Engels (Barmen, 28 novembre 1820 – Londra, 5 agosto 1895)

Con il titolo originale di Princìpi del comunismo (Grundsätze des Kommunismus), Il libretto rosso dei comunisti venne scritto da Friedrich Engels nel novembre del 1847 nell’ambito di un’occasione molto particolare. Si trattava, alla vigilia di un importante appuntamento congressuale, di esporre in modo chiaro e conciso i punti programmatici che avrebbero animato la neonata Lega dei Comunisti. Continua a leggere Verso il “Manifesto del Partito comunista”. Introduzione a “Il libretto rosso dei comunisti” di Friedrich Engels

Cosa significa “unire le lotte”?

“Vi sposterete da una città all’altra in 45 minuti”, dicevano aziende come Ibm, L’Orèal e Lufthansa ai lavoratori. Che messi di fronte ai 400 euro al mese dell’abbonamento dell’Alta Velocità chiesti da Trenitalia per coprire la tratta Torino-Milano (a cui si aggiunge il costo degli abbonamenti per le tratte urbane, altri 80 euro circa per prendere metropolitana e autobus…), sono costretti a fare i conti, oltre che con il problema di mettere insieme il pranzo con la cena, anche con una realtà antica. Infatti, che si parli di fabbrica, di casa o di trasporti, il soggetto padronale con cui si ha a che fare è sempre lo stesso. Continua a leggere Cosa significa “unire le lotte”?

Zagrebelsky: più sì che no

Enrico Mentana organizza in diretta televisiva un dibattito tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky in vista del referendum costituzionale previsto per il 4 dicembre. Al giurista, e alle sue noiose argomentazione di ordine storico-legalitario, viene affidato il compito di rappresentare il NO e le sue ragioni. Stranamente, però, io non ricordo di aver mai delegato Zagrebelsky affinché rappresentasse il mio NO (cioè, neppure ricordo di aver mai delegato…), e a dire la verità, neanche conosco qualcuno che lo abbia fatto: nessun senza casa, nessuno studente, nessun precario, nessun disoccupato, nessun operaio: nessuno. E allora, se ieri sera c’era Zagrebelsky a rappresentare questo NO, e se in assoluto è questo il NO che viene rappresentato, o è di due NO diversi che stiamo parlando o Zagrebelsky è stato Renzi a portarselo da casa.

Kurdistan e lotta di classe

Nella querelle, direi minoritaria (per usare un eufemismo) a livello di penetrazione sociale del dibattito pubblico, che in questi giorni, a partire da un comunicato del Comitato No Nato e della Rete No War, sta spingendo alcuni osservatori ad attaccare da sinistra, al grido di «servo degli americani» o quasi chi esprime la propria solidarietà nei confronti della lotta del popolo curdo, mi colpisce soprattutto una cosa. E non mi riferisco al merito di particolari visioni geopolitiche dell’universo conosciuto e sconosciuto, né al problema della loro pertinenza, ma al vezzo di definire “moda” quella che sarebbe solo una momentanea infatuazione pro-curda. Chiamare “moda” il consenso alla causa curda, infatti, cancella come se non fosse mai esistito il lavoro di lunga durata portato avanti tra mille difficoltà dai militanti del Pkk e nega la capacità e la pazienza con la quale da tempo immemorabile uomini e donne curde si sono preoccupati di essere parte attiva in tutti i luoghi in cui il discorso sul Kurdistan è risultato pertinente rispetto all’analisi delle molteplici problematiche nazionali e internazionali prodotte dall’imperialismo. Quello che ha fatto il Pkk, in sostanza, e al netto di tutte le contraddizioni di volta in volta riscontrate sul campo, è stato preoccuparsi di esistere sulla base di un seguito materiale, e non soltanto in virtù di una proiezione analitica o ideologica. Chiamare “moda” tutto questo, non solo nega la specificità della lotta curda, finendo per attribuirla a una sorta di congiuntura eterodiretta, cosa che è come minimo falsa, ma fa emergere tutti i limiti di una sinistra che rischia di rivelarsi ontologicamente incapace di ancorare le proprie posizioni a una base sociale diversa da quella che è possibile creare limitandosi ad animare guerre di comunicati o polemiche su facebook.

Beh, per fortuna che ieri in piazza, alla manifestazione per il Kurdistan organizzata a Roma, tra le circa diecimila persone che hanno sostenuto e sostengono il Rojava, una netta maggioranza era distinguibile, oltre che per una chiara connotazione di classe, anche per il fatto di essersi già impegnata e per continuare a impegnarsi nel contrastare le campagne condotte ai danni di Serbia, Libia, Siria, Palestina e di ogni altra parte del mondo di volta in volta descritta come «cattiva» dalle narrazioni main stream, nella convinzione, che quando a comandare sono i profitti, “vostre sono le guerre / nostri sono i morti”. Queste stesse persone hanno arricchito il corteo con parole d’ordine inerenti la questione delle abitazioni e il diritto allo studio, l’antifascismo e l’antissessismo, la disoccupazione e lo sfruttamento sul lavoro, la libertà d’espressione e quella di movimento. Pare che moltissimi di questi manifestanti, tra l’altro, non sapessero nulla di geopolitica (tra i proletari presenti, alcuni non sarebbero neanche capaci di leggere o di scrivere), ma che tutti e tutte, all’occorrenza, fossero in grado di serrare i ranghi in un picchetto, resistere a uno sgombero e a uno sfratto o muoversi in corteo selvaggio: l’abc della lotta di classe – vale a dire l’unico luogo da cui, ogni volta che si parla di antimperialismo, bisognerebbe essere capaci di ricominciare.

Higuaín alla Juve e la Lingua del Nemico. Ovvero come dire NO alle olimpiadi, non sentire ragioni e vivere felici sapendo di essere nel giusto.

Sul finire dell’estate, come faccio in quasi tutti i giorni dell’anno la mattina prima di iniziare a lavorare, mi trovavo in un bar come ce ne sono tanti nella periferia romana e che, come tanti altri nella periferia romana, “bar” fa solo di nome, mentre di cognome si chiama “della coltellata”; versione locale di ciò che il marketing è già riuscito a sporcare, mandando in televisione tonnellate di spot che per vendere un superalcolico vantano la sua abituale presenza «nei peggiori bar di Caracas». Continua a leggere Higuaín alla Juve e la Lingua del Nemico. Ovvero come dire NO alle olimpiadi, non sentire ragioni e vivere felici sapendo di essere nel giusto.

Sangue e luoghi comuni

“Il luogo comune è in un certo modo un’arma del potere” (Roland Barthes)

Gli italiani usano i gas come se piovesse quando vanno a fare la guerra in Africa del nord; ma hanno la pizza e il mandolino, sono brava gente. Gli italiani impiantano campi di sterminio e si abbandonano alla pulizia etnica quando vanno a fare la guerra in Yugoslavia; ma hanno il sole, il mare e vogliono tanto bene alla mamma, sono brava gente. Gli italiani mandano al potere Benito Mussolini e appoggiano leggi razziali ancora più terrificanti di quelle in vigore in Germania (e chiudono gli occhi sulle loro conseguenze: il massacro di migliaia di uomini, donne, bambini…); ma hanno stile nel vestire (dicono) e fanno bene all’amore (dicono), sono brava gente. Gli italiani dalla fine della seconda guerra mondiali ai giorni nostri si crogiolano in uno stato fondato sulle tangenti e sui privilegi garantiti a una minoranza parassitaria e ingorda oltre ogni limite, le condizioni che – tra le mille altre cose – consentono alla sabbia di prendere il posto del cemento nelle costruzione spacciate come antisismiche; ma cucinano cose così buone!, sono brava gente.