Cosa significa “unire le lotte”?

“Vi sposterete da una città all’altra in 45 minuti”, dicevano aziende come Ibm, L’Orèal e Lufthansa ai lavoratori. Che messi di fronte ai 400 euro al mese dell’abbonamento dell’Alta Velocità chiesti da Trenitalia per coprire la tratta Torino-Milano (a cui si aggiunge il costo degli abbonamenti per le tratte urbane, altri 80 euro circa per prendere metropolitana e autobus…), sono costretti a fare i conti, oltre che con il problema di mettere insieme il pranzo con la cena, anche con una realtà antica. Infatti, che si parli di fabbrica, di casa o di trasporti, il soggetto padronale con cui si ha a che fare è sempre lo stesso. E si tratta di un soggetto che non ha alcuna difficoltà nel togliere togliere con una mano, attraverso l’aumento delle tariffe o il rincaro degli affitti, quello che concede o fa finta di concedere con l’altra, per esempio il mantenimento di un posto di lavoro. Per questo quando in giro si sente dire quanto sarebbe necessario “unire le lotte”, non si vuole intendere semplicemente che i pendolari devono andare a lottare con i senza casa che devono andare a lottare con i facchini che devono andare a lottare con i No Tav che devono andare a lottare con gli addetti ai call center che devono andare a lottare con gli scaffalisti impiegati h24 dalla grande distribuzione. Quando si parla di “unire le lotte” si vuole dire che la lotta è una sola ed è sempre la stessa. Quella, cioè, che da sempre oppone chi sfrutta a chi viene sfruttato. Ma quando si parla di “unire le lotte” è anche un’altra cosa quella che si dice. Si dice, cioè, che è da molto tempo che i margini di recupero su quanto il comando capitalista è disposto a concedere si sono esauriti da tempo. Al contrario, sulla scia della feroce ristrutturazione in corso, l’erosione di salario e diritti raggiungerà punti e lambirà livelli che si fa fatica persino a pensare per quanto sono profondi. Per questo si dice che occorre “unire le lotte”. Perché oggi qualunque questione vertenziale, anche l’annosa vicenda del rincaro dei biglietti dei mezzi di trasporto, ormai funzionale alle sempre paventate e ora imminenti privatizzazioni (“ce lo chiede l’Europa!”, tuonano i ministri), tocca immediatamente il cuore del politico. E ciò che inizia con una sacrosante bestemmia contro una tariffa iniqua, un licenziamento, uno sfratto o una devastazione ambientale si lega immediatamente al problema dei problemi. Quello cioè di lottare per il potere. Altrimenti perché gli sfrattati, i licenziati, i senza casa e i sottopagati continuerebbero a scandire lo slogan “vogliamo tutto” nei loro cortei?

 

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