Fuoco ai mediocri

La strada, con i suoi codici mai detti eppure compresi da chiunque l’abbia mai calcata. La piazza, con la scoperta di una politica destinata a tranciare con l’accetta la differenza tra chi sfrutta da chi viene sfruttato. E lo stadio, dove il rituale della battaglia nasconde un senso di appartenenza irriducibile alle logiche di un mondo completamente mercificato. Questo è il perimetro in cui l’epopea di Fuoco ai mediocri prende forma. Un romanzo duro e potente, ambientato nella città e tra la tifoseria della squadra – mai nominata eppure inconfondibile – più grande dell’Italia meridionale: prova più unica che rara di letteratura ultrà. Ma anche uno dei pochi libri scritti di chi – la vita dell’ultrà – può prima di tutto dire di averla vissuta.

NAPOLI, venerdì 24 giugno c/o Libreria Ubik di via Croce 28, prima presentazione di “FUOCO AI MEDIOCRI. Romanzo ultrà” di Giuseppe Milazzo.
Interverranno con l’autore: R.Ricco (DIPSUM – Università degli Studi di Salerno) – C.Armati (Red Star Press – Hellnation Libri) – G.Piacci (libraio Ubik)

Non ci rovinate il pranzo. Processo a un partigiano

Non ci rovinate il pranzo

NAPOLI – mercoledì 25 novembre – ore 20 e 30

Al CINEMA ASTRA di Via Mezzocannone 109, la MENSA OCCUPATA presenta NON CI ROVINATE IL PRANZO, esplorazioni ed esperimenti sul testo teatrale di Giancarlo Piacci.

NON CI ROVINATE IL PRANZO: liberamente ispirato alla storia di Giuseppe Bonfatti, che nel novembre 1990 uccise un ex repubblichino come vendetta per alcuni eventi della guerra civile, il testo di Piacci offre una lucida allegoria delle difficoltà a fare i conti con la memoria della Resistenza e il suo contenuto di guerra civile e di classe.

Non ci rovinate il pranzo di Giancarlo PiacciIl giorno della presentazione di un testo è un momento molto delicato, perché è il momento in cui l’autore presenta agli altri la sua creazione.
Bisogna spiegare le motivazioni che lo hanno portato a scrivere, spiegare i passaggi, motivare ed argomentare i contenuti, la scelta dello stile, della storia, descrivere le fasi di creazione e pubblicazione. C’è bisogno di ospiti, di un moderatore, di un programma,di giornalisti, di un pubblico di interessati. Anche lo spazio è importante, una biblioteca, una libreria, un luogo capace di proteggere e contestualizzare l’evento. La questione diventa di tipo formale…
Ma può succedere anche che l’autore si incontri con un regista, degli attori, una disegnatrice, un videomaker, un cinema, un evento sentito nello stomaco e nel cuore di tutti, il compleanno di uno spazio occupato, la mensa, che festeggia i suoi ricordi e le sue lotte riappropriandosi di uno spazio che profuma ancora di quella vecchia occupazione. Può succedere che le motivazioni formali e il voler far comprendere agli altri il proprio scritto, con la giusta distanza, passino in secondo piano e si senta invece la voglia e la necessità di divulgare le emozioni e le atmosfere che quelle parole su foglio bianco, quella storia ha suscitato. In questo caso non si ha voglia di spiegare ma di condividere in un confronto artistico il momento.

Lavoro a cura di Pino Carbone; con Maria Anzivino, Anna Carla Broegg, Maria Guida, Lorenzo Massa, con la partecipazione-voce registrata di Franco Javarone.
Video: Antonio Mastrogiacomo.
Costumi e grafica: Stefania Agostiniano.
Ospiti: l’autore Giancarlo Piacci e Cristiano Armati (Red Star Press).
Collaborazione: Antonio Tufano e Tommaso Caruso.

Dicono che era un sorriso

Dicono che era campagna
quella terra bassa
dove ti portavano con un furgone
pieno di braccia,
nessuno ha mai visto la tua faccia
neppure adesso
che su quella terra sei morta.

Dicono che era mare
quella distesa immensa di acqua
che ti ha mangiato vivo
che ti ha strappato il respiro,
i tuoi sogni, adesso, non hanno più colore
perché nel posto dove sei
la gente non ha nome.

Dicono che era legge
anche quella divisa
dicono che l’hai derisa
e che non ti devi lamentare,
la pallottola che hai preso nella schiena
sei stato tu
che te la sei andata a cercare.

Dicono che era uno sfratto
perché così si è deciso
c’è la forza pubblica che aspetta
perché giustizia sia fatta,
ma la vergogna era troppa
così in quella corda
hai infilato la testa.

Dicono che era lavoro
quella fabbrica e quel cantiere
con le ciminiere
alte fino al cielo
che volevi assaltare
quando hai capito
che servono le ali per provare a volare.

Dicono che era un sorriso
quello che vi ha seppellito
ma che appartiene al padrone,
a cui non è mai stato reso
il vostro coraggio
a cui non è mai stato reso
il nostro dolore.

*

TARANTO: Bracciante 49enne morta sotto l’afa come Mohamed

RAPPORTO OIM: Già oltre 2000 morti in mare nel 2015

NAPOLI: Un ragazzo di 16 anni è stato ucciso da un colpo sparato da un carabiniere

CASALECCHIO DI RENO: 53enne si impicca alla vigilia dello sfratto

INCIDENTE SUL LAVORO: Operaio 65enne muore a Gela

Come si dimostra di essere razzisti: i video di Repubblica.it

Scelta davvero “progressista” quella della Repubblica.it. Pubblicare un video ripreso dalle telecamere di sicurezza a Napoli e intitolarlo “Scippo nei vicoli di Napoli. Solo un immigrato difende la vittima”.

A parte che, guardando il video:

http://video.repubblica.it/edizione/napoli/napoli-scippo-nei-vicoli-interviene-solo-l-immigrato/154993/153493?ref=HREC1-3

la cosa non è nemmeno vera. Il ragazzo di cui parla Repubblica effettivamente interviene, coadiuvato però da diversi passanti che si fermano a dare una mano alla signora trascinata per terra dal motorino dello scippatore. Perché descriverlo come “solo”?

Perché i napoletani presenti nei vicoli sarebbero necessariamente ladri e scippatori?

Il punto, oltretutto, è un altro. Per quale motivo, infatti, un “immigrato” che aiuta una signora scippata dovrebbe fare notizia?

Perché gli immigrati sono tutti ladri?

Perché gli immigrati non sono in grado di seguire impulsi umani come quello di dare un aiuto alle persone in difficoltà?

O è semplicemente il razzismo diffuso, nella società come e soprattutto nella testa dei giornalisti, a trovare eccezionale la semplice correlazione tra un immigrato e l’atto di aiutare?

Il ragazzo, tra l’altro, è descritto come nell’atto di “chiedere l’elemosina”… anche se sul video, quello che si può evincere, è che sta seduto, non che chiede l’elemosina: come mai è descritto così?

Perché gli immigrati, se non sono ladri, devono almeno essere accattoni?

Senza considerare che a Repubblica.it si potrebbe chiedere come fanno a dire che il ragazzo del video sia effettivamente un migrante. Che sia nero, infatti, vuol dire poco: non sanno nulla i signori giornalisti delle decine e decine di migliaia di ragazzi di qualunque colore effettivamente nati qui?

Persino la correlazione, data come ovvia, nero=immigrato è intrinsecamente razzista: la voce di un giornale che nega lo ius soli, la tematica delle seconde generazioni e, più semplicemente, il dato di fatto di una società meticcia. E se queste osservazioni risultassero troppo severe, basta dare, poi, un’occhiata a un altro video messo in evidenza sulla stessa Repubblica.it:

http://video.repubblica.it/edizione/milano/milano-aggredisce-il-rivale-con-una-mannaia-in-centrale/155050/153549

“Milano, aggredisce in centrale il rivale con una mannaia”, è il titolo delle immagini. Con una didascalia che subito specifica: “Un algerino arrestato per il tentato omicidio di un tunisino”.

Ecco. Fermo restando che dell’assalitore Repubblica.it si premura di specificare come fosse “irregolare”, “in stato di alterazione alcolica” e “con precedenti”, c’è da dire che le aggettivazioni di carattere etnico sono come le giustificazioni. Quando vengono specificate senza essere richieste sono di per sé un grave indizio di colpevolezza. E la “colpa” in cui indugiano i nostri mezzi di informazione da sempre è sempre la stessa: il razzismo.

PS: tornando al video di Napoli, il ragazzo di cui parla Repubblica.it sembra, effettivamente più degli altri passanti, intenzionato a bloccare lo scippatore in attesa della polizia. Difficile prevedere il proprio comportamento se non ci si mette alla prova dei fatti. Però credo che personalmente avrei fatto come i passanti di Napoli e, soccorsa la signora, lo scippatore – fatti salvi ulteriori impulsi violenti che potrebbero derivare dall’avere a che fare con amici e parenti nel ruolo di vittime – effettivamente lo avrei lasciato andare via. Nemmeno lo scippatore, infatti, si sarebbe meritato di essere arrestato dagli assassini di Federico Aldrovandi, recentemente riammessi in servizio dopo le sentenze di condanna:

http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/EmiliaRomagna/Caso-Aldrovandi-il-fratello-di-Federico-insensato-ritorno-in-servizio-dei-poliziotti_321168476698.html

Evidentemente, però, anche io sono vittima di quel diffuso pregiudizio popolare secondo il quale la giustizia non si ottiene né dai tribunali né dalla polizia.