La scuola dell’odio a Milano

SABATO 21 MAGGIO dalle ore 17:00 presso la PANETTERIA OCCUPATA di via Conte Rosso 20 (Milano) PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LA SCUOLA DELL’ODIO. Sette anni nelle prigioni israeliane” di Bruno Breguet. Con Cristiano Armati (Red Star Press) e un compagno palestinese.

La scuola dell'odio a Milano

“Militante ticinese del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Bruno Breguet ha appena vent’anni quando, nel 1970, viene arrestato ad Haifa dalle autorità israeliane. Accusato di svolgere attività terroristica per conto del Fronte, Breguet viene percosso e torturato a lungo prima di essere trasferito nel carcere di Ramleh dove, per ben sette anni, rimarrà a disposizione dei suoi aguzzini, che riservano ai prigionieri politici i trattamenti più duri senza riuscire ad avere la meglio sulla determinazione con cui i militanti riescono a lottare perfino dietro le sbarre di una cella di sicurezza.
Nella prigione, Breguet continuerà la sua battaglia antisionista, rifiutando di scendere a patti con i servizi segreti e, in seguito, organizzando sommosse, preparando piani di evasione e tentando sempre e comunque di comprendere, attraverso lo studio, la natura dei mostri generati da una società divisa in classi nel contesto della guerra di conquista condotta ai danni della Palestina dall’imperialismo israeliano.

Nato nel 1950 a Muralto, in Svizzera, entra a far parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina nel 1970 diventando, dopo l’arresto subito ad Haifa lo stesso anno, il primo non palestinese membro della Resistenza a essere processato e condannato da un tribunale israeliano. Costretto a subire durissime condizioni detentive, Breguet sconterà una pena di sette anni nel carcere di Ramleh, rifiutando sistematicamente di dichiararsi “pentito” e raccogliendo, al culmine di una mobilitazione internazionale, la solidarietà di attivisti e intellettuali.
Uscito di prigione nel 1977, Bruno Breguet è arrestato nuovamente in Francia nel 1982, accusato di essere membro dell’ORI, l’Organizzazione dei Rivoluzionari Internazionali di Ilich Ramirez Sanchez, più noto con il nome di battaglia di “Carlos”. Tornato in libertà tre anni dopo, Breguet si trasferisce in Grecia, dove lavora come carpentiere fino al 1995, anno in cui sparisce misteriosamente dalla motonave “Lato” lungo la rotta Ancona-Igoumenitsa.”

45 anni dopo l’arresto di Breguet, l’essenza dell’entità sionista di Israele non è mutata anzi l’occupazione è proseguita estendendo a dismisura i territori occupati dall’esercito israeliano relegando ormai i palestinesi in piccoli fazzoletti di terra divisi gli uni dagli altri dai villaggi dei coloni e dal muro. In tutti questi anni sono continuate le stragi dei palestinesi come quelle che periodicamente hanno colpito il territorio di Gaza, una striscia di terra trasformata ormai in un immenso lager a cielo aperto. Il popolo palestinese è perennemente vessato da rastrellamenti e arresti arbitrari, da deportazioni, dalla distruzione dei raccolti, dalla demolizione delle loro case. In tutti questi anni il numero dei prigionieri, rinchiusi nelle carceri israeliane ed anche in quelle dell’Autorità nazionale palestinese, è aumentato fino ad arrivare alla cifra di oltre 6000 detenuti. Una condizione difficile viene vissuta dai milioni di profughi palestinesi a cui viene di fatto negato il diritto al ritorno nelle proprie terre. Tutto questo avviene anche grazie al supporto che viene dato ad Israele dalle potenze occidentali, dagli USA ai vari paesi dell’Unione Europea Italia compresa, che in questo trovano sostegno dai regimi reazionari presenti nell’area mediorientale. L’Europa sta infatti muovendosi per la disgregazione e la frantumazione di quegli Stati che non sono totalmente asserviti, fomentando conflitti settari ed etnici e dove questo non basti intervenendo direttamente sul piano militare. Stiamo sempre più assistendo ad un vero e proprio processo di colonizzazione del Sud del Mediterraneo, un processo che ha come unico vero e proprio perno a livello locale lo Stato sionista di Israele a cui viene data mano libera per l’attuazione di una nuova tappa nel processo di annientamento del popolo palestinese. Ma questi processi sono messi in discussione dalla Resistenza del popolo palestinese che (in diverse forme fra le quali diversi momenti generalizzati di sollevazione e rivolta come “l’Intifada” tuttora in corso) conduce dall’inizio dell’occupazione sionista una difficilissima lotta per la propria esistenza, per la propria vita, per la propria libertà. Una lotta che è riferimento per tutte le masse arabe che vedono in essa una reale possibilità di liberazione dal colonialismo e dallo sfruttamento. Per poter continuare a resistere il popolo palestinese necessita anche della solidarietà e del supporto che deve giungere loro da tutti quelli che, anche in Occidente, non vogliono essere complici di questa barbarie. Sviluppando un movimento contro la guerra, qui nelle nostre metropoli, possiamo rafforzare la resistenza del popolo palestinese e trovare insieme, con quello spirito internazionalista che tanti anni fa informò le scelte di Bruno Breguet, una linea di “Fronte” comune.

La Scintilla a Milano

VENERDI’ 20 MAGGIO dalle ore 21:00, presso la PANETTERIA OCCUPATA di via Conte Rosso 20 (Milano) PRESENTAZIONE DEL LIBRO di Cristiano Armati “LA SCINTILLA. Dalla valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa“, con la partecipazione dell’autore, e proiezione del video “Io la casa me la sto lottando”, a cura del Movimento Casa Pioltello.

La Scintilla a Milano

Presentando “La Scintilla”, di Cristiano Armati, vogliamo riportare e socializzare il contributo di un compagno romano attivo nel movimento di lotta per il diritto all’abitare sviluppatosi in questi anni nella capitale; il libro ha il pregio di mostrarci, sin dalle prime pagine, la necessità e la capacità di un movimento di affrontare in modo ampio e complessivo le necessità e i bisogni di una porzione crescente di proletari, italiani e immigrati. La crisi, le ristrutturazioni, la ridefinizione del welfare, le sempre peggiori condizioni di lavoro (quando c’è) determinano infatti un sempre maggiore impoverimento delle classi subalterne. Ma questo implica anche possibili terreni di mobilitazione, e la lotta per la casa ne è infatti un chiaro esempio.
Da un lato, la gestione della “questione abitativa” da parte del potere politico è in continua evoluzione, non solo per l’aumento di sfratti e sgomberi, ma anche per quanto riguarda l’edilizia pubblica, sempre più investita da processi di dismissione o privatizzazione, (legge regionale della giunta Maroni in approvazione a Giugno) e nello sviluppo delle metropoli, dove intere zone vengono riqualificate e gentrificate a seconda delle esigenze, o ancora per la nascita di nuove forme “intermedie” di offerta abitativa, quali lo housing sociale. Dall’altro lato, sempre maggiore, e anch’esso in evoluzione, il tentativo di organizzarsi per fare fronte al problema, con la creazione di comitati che concretamente cercano di costruire una rete tra abitanti dei quartieri popolari, occupanti, sfrattati e solidali. Cercheremo quindi di approfondire il nostro punto di vista su entrambi gli aspetti.
Il video del Movimento Casa Pioltello è anch’esso un breve collage che, attraverso testimonianze e momenti di azione, cerca di mettere a fuoco le dinamiche e le ragioni di una lotta che partendo dai quartieri dove si sviluppa cerca di raggiungere una dimensione più ampia. Vuole essere uno spunto, ne descrive la forza, le potenzialità e le contraddizioni.

Comitato di Lotta per la Casa Lambrate

Primo Maggio: e se la faccia ce la mettessimo tutti e tutte?

Noi le facce non le mettiamo“Noi le facce non le mettiamo”. Dopo la notizia dei dieci arresti eseguiti ieri tra Italia e Grecia ai danni di persone sospettate di aver animato la protesta del Primo Maggio No Expo, non sono mancati i mezzi di informazione indipendente che, per rispondere alla scelta forcaiola (la solita) del “Corriere della Sera”, immediatamente pronto a pubblicare le facce dei presunti black bloc, si sono affrettati a marcare una differenza: da un lato c’è il diritto e uno straccio di deontologia professionale, dall’altro fogli padronali stile “Corriere della Sera”.

Non c’è alcun dubbio che continuare a far pesare sempre e comunque a giornalisti come quelli in forza a il “Corriere” l’evidenza delle loro malefatte sia cosa buona e giusta, anche se è altrettanto innegabile come rinfacciare ai mezzi di informazione la propria natura di servitori del potere abbia lo stesso sapore scontato della scoperta dell’acqua calda.

Restando sul terreno della vetrina infranta dell’Expo milanese, davvero chi, da sinistra, ha speso parole di fuoco e di fiamme contro il “blocco nero” non aveva alcuna idea che i propri distinguo, i propri attacchi, il proprio giocare la partita dei “buoni” contro quella dei “cattivi”, si sarebbe tradotta prima in una strumentalizzazione, poi in una giustificazione ideologica non soltanto rispetto agli arresti, ma anche rispetto all’eccezionale durezza che si stanno meritando gli arrestati?

“Anche chi ha contestato democraticamente l’inaugurazione di Expo”, è scritto tra le righe di tutti i giornali e si legge dietro le fotografie di tutti gli arrestati, si è schierato compatto contro i “soliti teppisti”. A testimoniarlo, un esempio su tutti: l’articolo con cui il “Corriere della Sera” ha anticipato – evidentemente e ovviamente ben informato dalla Questura, di cui è abituale velina – gli arresti rispetto ai quali oggi ci si esprime. Come?

Passando in rassegna commenti ed opinioni, emerge o (1) la contestazione del reato di devastazione e saccheggio, residuato bellico del fascista Codice Rocco, pensato per situazioni di guerra e quindi assolutamente inappropriato per episodi come Expo2015 e, più indietro nel tempo, Genova2001; o (2) la condanna della gogna mediatica a cui la stampa main stream si è abbandonata con gusto orgiastico.

Per quanto riguarda la contestazione del reato di devastazione è saccheggio, si potrebbe dire che la battaglia utile alla sua cancellazione sarebbe cosa buona e giusta nella misura in cui potrebbe lavorare a una sempre utile ricomposizione di classe, evidenziando come le contraddizione per cui si scontano dieci anni per un bancomat rotto sono inaccettabili alla luce del governo ladro e mafioso che siamo costretti a subire. Eppure… se è opinione corretta e comune che dietro il famigerato reato di devastazione e saccheggio vi sia prima di tutto una forzatura, considerando che in punta di diritto quella legge non parla delle situazioni a cui viene applicata oggi, chissà cosa si potrebbero inventare – visto che di arbitrio stiamo parlando – una volta abrogata!

Forzatura per forzatura, tolta la devastazione e il saccheggio, potrebbero arrivare con lo stesso arbitrio le accuse di tentato omicidio anche per aver lanciato una bottiglietta di plastica vuota, o di associazione a delinquere per essere in possesso della tessera di una biblioteca… considerazioni che portano direttamente al secondo punto della questione, quello che ha a che fare con la condanna – più o meno di maniera – della gogna mediatica a cui i sospetti black bloc sono stati esposti, ovviamente senza che per loro abbia mai avuto alcun valore il “garantismo” di cui tanti si riempiono la bocca. Questo solo per dire che di fronte a fenomeni di insorgenza sociale non si può pretendere di avere salva la coscienza compartimentando la propria indignazione: è assurdo pensare di condannare pezzi di Movimento e addirittura additarli (alle attenzioni della Questtura) per poi stupirsi della durezza della repressione (“Ma come, dieci anni per una vetrina!”) o della connessa gogna mediatica (“Ma come, pubblicano i volti dei sospettati in dispregio delle garanzie democratiche!”). Per dirla in altri termini, rispetto ai fenomeni di insorgenza sociale, o si è dalla parte della soluzione che questi auspicano, o si è parte del problema, difficile pensare a comode vie di mezzo. Ed è per questo, che parlando di Expo, non sento la necessità di dire che “io le facce non le pubblico”, al contrario, ho voglia di dire che io la faccia ce la metto.

Io la faccia la mettoLa trovate qui, in basso a sinistra, dove è sempre stata. Mentre è impegnata a lasciare traccia del proprio dna su un pericolosissimo scovolino utile a fare le bolle di sapone, si fa una domanda: e se per dimostrare solidarietà e complicità con gli arrestati del primo maggio la faccia la mettessimo tutte e tutti, rispetto ai fatti di Milano come in rapporto ai luoghi dove le lotte reali conquistano a spinta la propria volontà di cambiare l’esistente, non questo l’unico, vero passo avanti?

TUTTI LIBERI! TUTTE LIBERE!

Chi se la canta, chi se la suona e chi se la lotta. Expo non è finito

Corriere della sera su Expo

Dicono che Expo sia finito. Senza contestazioni, a quanto pare. Tutta colpa di quei “riot che asfaltano il movimento”, commenta beffardo il «Corriere della sera», arrivando a citare «il manifesto» per riproporre un’analisi della giornata del primo maggio e persino immaginando di avere dalla sua chi la pensa così insieme alla Questura, che si è presa sei mesi di tempo per schedare, etichettare, analizzare e dio solo sa cos’altro. Ora si procederà agli arresti, informa il giornale padronale per eccellenza, ovviamente senza vergognarsi di mostrare il piacere che prova nel pensare all’eventualità di nuove persone in carcere.
I “buoni”, suggerisce l’articolo, scritto da qualcuno che dimostra di conoscerli bene, o persino di essere uno di loro, sarebbero stati talmente intimoriti dai “cattivi” da non riuscire più neppure ad avanzare una qualche critica, civile naturalmente, ad Expo, come invece le regole del gioco democratico vorrebbero. Un po’ come quando di tanto in tanto arrivano le elezioni e ci viene data l’opportunità di scegliere tra una Moratti e un Pisapia, e che non si venga a dire che alle nostre latitudini la mancanza di pluralismo rappresenti un problema!
Un Renzi, per esempio, è talmente convinto di un simile assunto che a passare per il vaglio elettorale non ci pensa neppure: perché perdere tempo se poi, come a Milano, gli unici che dimostrano di avere qualcosa da dire sono incompatibili come le vetrine che rompono e gli interessi di classe che incarnano?
Si prenda piuttosto esempio da Expo. E che i suoi uomini più efficienti, a partire dal prefetto Tronca, vadano a mettere ordine a Roma, dove, licenziato l’inutile sindaco Marino, al rispetto delle famose regole democratiche ci pensa il governo stesso, preferendo a qualunque forma di progettualità politica un controllo territoriale esercitato direttamente dalla polizia.
Certo, quella di Expo è stata una storia strana. Dal punto di vista della contestazione, infatti, non si è mai visto un problema che smette di esistere a causa della gestione di una singola giornata. Anche perché, se fosse così, non esisterebbe il problema, ma soltanto le persone che lo agitano, mentre pare che le questioni sociali funzionino nel modo esattamente opposto: è la loro esistenza a provocare agitazione, non il contrario. E qualcosa, nell’osservazione della realtà, sembra suggerire che il tema delle grandi opere e dei grandi eventi, simulacro della rapina perpetrata dagli sfruttatori ai danni degli sfruttati, esista eccome. Con buona pace di chi se la canta e se la suona, insomma, c’è anche chi se la lotta. E infatti, insieme a Tronca, quante centinaia di milioni hanno già mandato a Roma per consentire ai soliti noti di continuare a fare baldoria con l’imminente Giubileo?
Nello stesso lasso di tempo, invece, quante case popolari sono state assegnate? Quali garanzie per una scuola aperta a tutti e per una sanità efficiente e gratuita ottenute? E quali conquiste di diritti, dallo ius soli al reddito di cittadinanza (universale e incondizionato), sono state nel frattempo ascritte all’odierna civiltà del neoliberismo globale incarnato da Renzi e dalle sue giunte, arancioni o militari che siano?
Il silenzio di fronte a queste domande è imbarazzante come l’assenza dei “buoni” sullo scenario delle battaglie combattute ogni giorno in tutta Italia per la casa, il lavoro, la scuola, la sanità (altro che “assenza di contestazioni”, come scrive il «Corriere della sera»)… mentre chi di tutto questo è privo le vetrine in frantumi del primo maggio le ha ascoltate eccome. E ha sorriso. Mica è corso a piangere in Questura. L’istituzione repressiva per eccellenza, d’altro canto, era troppo indaffarata. Ora deve persino accollarsi di tirare avanti la baracca del Giubileo. E allora, senza neppure considerare la sorte delle tonnellate di metri cubi di cemento in procinto di essere abbandonate o regalate a qualche speculatore a Milano, si può dire che i nomi siano cambiati, ma come si fa a pensare che Expo sia finito?

Primo Maggio: quello che si dice

Si dice che grazie alle “violenze” al primo maggio di Milano, le ragioni del No Expo siano state completamente oscurate. Infatti, prima di ieri, queste ragioni erano all’ordine del giorno, venivano affrontate con correttezza dalla stampa ed esposte con chiarezza dalla televisione generalista, che invitava gli esponenti dell’opposizione sociale a dibattiti e ad approfondimenti, talmente ascoltati da essere quasi riusciti ad annullare l’evento.
Si dice anche che grazie alle “violenze” al primo maggio di Milano, ora l’intero Movimento si trovi sotto attacco, esposto alle sevizie della polizia e della magistratura, pronta a usare come un ariete l’arma più micidiale del codice (fascista) di procedura penale: il reato di devastazione e saccheggio. Infatti, prima di ieri, questo stesso reato non era mai stato usato, né per colpire i partecipanti al vertice contro il G8 di Genova e neppure, più recentemente, per processare i partecipanti alla manifestazione del 15 ottobre utilizzando un imputazione che prevede pene fino a quindici anni. Alla stessa maniera, per colpire il movimento No Tav, la magistratura non si era certo sognata di trattare quattro ragazzi accusati di aver danneggiato un compressore alla stregua di pericolosi mafiosi, imponendo loro un isolamento degno di quanto previsto dal famigerato 41bis.
Si dice persino che da questo momento in poi, considerate le “violenze” al primo maggio di Milano, nessuno vorrà più scendere in piazza. Infatti prima di ieri le piazze erano traboccanti di folle decise a riconquistare i propri diritti, né si stava cercando, visto il surplus di partecipazione, di giocare la delicatissima partita con la quale – magari passando per errori e sbandamenti – tentare di rompere la stagione del reflusso e riconquistare una necessaria ricomposizione di classe. E poi basta guardare quanto accaduto a Cuba con il Movimento 26 Luglio, in Russia con i Soviet o a Parigi con la Comune: quando si registrano episodi di violenza popolare le piazze si svuotano, è la storia che lo insegna.
Insomma, si dicono tante cose. Una in più non farà la differenza, è tanto semplice battere i tasti di un computer, pare che anche molte scimmie siano in grado di farlo… intanto Expo non è ancora finito. Mentre fino a prova contraria solo la lotta paga.

Come si dimostra di essere razzisti: i video di Repubblica.it

Scelta davvero “progressista” quella della Repubblica.it. Pubblicare un video ripreso dalle telecamere di sicurezza a Napoli e intitolarlo “Scippo nei vicoli di Napoli. Solo un immigrato difende la vittima”.

A parte che, guardando il video:

http://video.repubblica.it/edizione/napoli/napoli-scippo-nei-vicoli-interviene-solo-l-immigrato/154993/153493?ref=HREC1-3

la cosa non è nemmeno vera. Il ragazzo di cui parla Repubblica effettivamente interviene, coadiuvato però da diversi passanti che si fermano a dare una mano alla signora trascinata per terra dal motorino dello scippatore. Perché descriverlo come “solo”?

Perché i napoletani presenti nei vicoli sarebbero necessariamente ladri e scippatori?

Il punto, oltretutto, è un altro. Per quale motivo, infatti, un “immigrato” che aiuta una signora scippata dovrebbe fare notizia?

Perché gli immigrati sono tutti ladri?

Perché gli immigrati non sono in grado di seguire impulsi umani come quello di dare un aiuto alle persone in difficoltà?

O è semplicemente il razzismo diffuso, nella società come e soprattutto nella testa dei giornalisti, a trovare eccezionale la semplice correlazione tra un immigrato e l’atto di aiutare?

Il ragazzo, tra l’altro, è descritto come nell’atto di “chiedere l’elemosina”… anche se sul video, quello che si può evincere, è che sta seduto, non che chiede l’elemosina: come mai è descritto così?

Perché gli immigrati, se non sono ladri, devono almeno essere accattoni?

Senza considerare che a Repubblica.it si potrebbe chiedere come fanno a dire che il ragazzo del video sia effettivamente un migrante. Che sia nero, infatti, vuol dire poco: non sanno nulla i signori giornalisti delle decine e decine di migliaia di ragazzi di qualunque colore effettivamente nati qui?

Persino la correlazione, data come ovvia, nero=immigrato è intrinsecamente razzista: la voce di un giornale che nega lo ius soli, la tematica delle seconde generazioni e, più semplicemente, il dato di fatto di una società meticcia. E se queste osservazioni risultassero troppo severe, basta dare, poi, un’occhiata a un altro video messo in evidenza sulla stessa Repubblica.it:

http://video.repubblica.it/edizione/milano/milano-aggredisce-il-rivale-con-una-mannaia-in-centrale/155050/153549

“Milano, aggredisce in centrale il rivale con una mannaia”, è il titolo delle immagini. Con una didascalia che subito specifica: “Un algerino arrestato per il tentato omicidio di un tunisino”.

Ecco. Fermo restando che dell’assalitore Repubblica.it si premura di specificare come fosse “irregolare”, “in stato di alterazione alcolica” e “con precedenti”, c’è da dire che le aggettivazioni di carattere etnico sono come le giustificazioni. Quando vengono specificate senza essere richieste sono di per sé un grave indizio di colpevolezza. E la “colpa” in cui indugiano i nostri mezzi di informazione da sempre è sempre la stessa: il razzismo.

PS: tornando al video di Napoli, il ragazzo di cui parla Repubblica.it sembra, effettivamente più degli altri passanti, intenzionato a bloccare lo scippatore in attesa della polizia. Difficile prevedere il proprio comportamento se non ci si mette alla prova dei fatti. Però credo che personalmente avrei fatto come i passanti di Napoli e, soccorsa la signora, lo scippatore – fatti salvi ulteriori impulsi violenti che potrebbero derivare dall’avere a che fare con amici e parenti nel ruolo di vittime – effettivamente lo avrei lasciato andare via. Nemmeno lo scippatore, infatti, si sarebbe meritato di essere arrestato dagli assassini di Federico Aldrovandi, recentemente riammessi in servizio dopo le sentenze di condanna:

http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/EmiliaRomagna/Caso-Aldrovandi-il-fratello-di-Federico-insensato-ritorno-in-servizio-dei-poliziotti_321168476698.html

Evidentemente, però, anche io sono vittima di quel diffuso pregiudizio popolare secondo il quale la giustizia non si ottiene né dai tribunali né dalla polizia.