La fabbrica dell’odio. La propaganda razzista sulla stampa italiana oggi

Certo che non deve succedere davvero niente ad Alessandria. Anzi, qualcuno dovrebbe prendere un treno e andare a controllare se per caso, da quelle parti, non siano tutti morti. Diversamente sarebbe difficile capire come sia possibile prendere due ragazzini di otto e dieci anni che si accapigliano sullo scuolabus e trasformare l’accaduto in una notizia da sparare in prima pagina. A riuscire nell’impresa di spacciare come notizia il puro nulla è “Il Piccolo” grazie a un “articolo”, firmato da tale Marcello Feola, che non si limita, con la sua banalità, a buttare altro inchiostro nell’indistinto mare del “chi se ne frega”, ma si contraddistingue per un’operazione di propaganda razzista degna… dell’Italia di Renzi, considerando che questi sono i tempi e questo è il paese in cui (soprav)viviamo.

Senza alcun ritegno, infatti, il sopracitato Feola scrive che: “Una bimba di 8 anni è stata picchiata da un compagno di scuola extracomunitario – di due anni più grande – sullo scuolabus”.

La “vittima”, quindi, secondo il Feola è una “bimba”, mentre colui che l’avrebbe colpita non è ugualmente un bambino, ma un “extracomunitario”.

Già questo, come evidente, basta ad innescare il meccanismo principe del razzismo: una linea di demarcazione dove sono sufficienti due parole per concentrare da un lato tutta l’umanità – la “bimba” – spogliando, al contrario, di ogni identità e di ogni termine utile a suscitare empatia ciò che viene artificiosamente dipinto come bestiale e pericoloso, non più il “bambino”, quindi, ma “l’extracomunitario”.

Non contento, il Feola rincara la dose dando la parola alla madre della “bimba” (l’extracomunitario, ovviamente, viene privato di ogni diritto di parola: per lui non ci sono familiari, amici, nulla; sola un’indistinta bestialità evocata dai gesti), che affranta esclama: “Come è possibile che sia potuta accadere una cosa del genere?”.

Lo stupore, ovviamente, dovrebbe riguardare ben altro: chiunque sia stato bambino e, con il passare degli anni, genitore, avrà un bagaglio sterminato di aneddoti per confermare come le baruffe tra ragazzini siano sempre state all’ordine del giorno. Fatti che in passato venivano affrontati “dai grandi” cercando di rispettare il buonsenso secondo cui le questioni tra ragazzini facevano bene a restare tra ragazzini, ora finiscono in prima pagina. E il giornale di Feola, per trasformare l’incidente in incitamento all’odio, abbandona il linguaggio colloquiale con cui inizia l’articolo per cedere la parola, strada facendo, alla terminologia medica, suffragando implicitamente grazie alla “scienza” la bestialità dell'”extracomunitario”: cioè di un bambino di dieci anni.

Si cita, quindi, il referto del pronto soccorso: “Trauma facciale e nasale – si legge – con infrazione del terzo medio delle ossa proprie del naso”; tutte parole senz’altro più paurose di quanto non sia il senso implicito in un banale cazzotto. Un atto che comunque non è certo destinato a restare impunito. Infatti, come si premura di farci sapere “Il Piccolo”, il certificato medico è “stato inviato d’ufficio, come sempre accade quando si tratta di atti di violenza che vedono coinvolti i minori, all’autorità giudiziaria”. Anche se poi, i gestori dello scuolabus, non hanno certo avuto bisogno di aspettare l’esito di un processo per emettere la loro condanna: “L’azienda dei trasporti, intanto, ha escluso dal servizio il ragazzino autore dell’incredibile gesto”.

Ad essere “incredibile”, ovviamente, è il fatto di riuscire ad accettare questo modo di fare giornalismo e di fabbricare le notizie. Un modo che, più che ad Alessandria – una città viva e vegeta, dove, per esempio grazie alla pratica delle occupazioni abitative, si lotta per i propri diritti mettendo in discussione lo stato di cose presenti – fa pensare direttamente al Ventennio e, più che a “Il Piccolo”, rievoca il modo di scrivere dei redattori de “La difesa della razza”. E, come sempre, citando M. L. King, a fare paura non sono le parole dei malvagi come il giornalista che ha scritto questo pezzo. Quello che spaventa davvero è il silenzio di chi di fronte a simili strumentalizzazioni dei bambini ha ancora la faccia di definirsi onesto.

 

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