La faccia della beneficenza: considerazioni sulla responsabilità dello stato di salute del poeta Valentino Zeichen

«Aiutiamo Valentino Zeichen». Il grido prorompe dalle gole di Luigi Manconi, Ermanno Olmi, Piera degli Esposti, Sandro Veronesi, Edoardo Albinati, Sergio Zavoli, Luigi Ontani, Edoardo Nesi, Alessandro Bergonzoni, Giuseppe Conte, Francesca Pansa, Marino Sinibaldi, Edoardo Camurri, Michela Marzano, Mario Tronti ed Elido Fazi, firmatari di un appello con cui si chiede che al poeta romano nativo di Fiume venga erogato il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli – il contributo straordinario, cioè, a cui può ambire chi, essendosi particolarmente distinto in campo artistico, culturale o sportivo, venisse a trovarsi in una situazione economica grave.
Nell’attesa che la burocrazia faccia il suo corso, le iniziative pro-Zeichen messe in campo dagli intellettuali si moltiplicano. E la stessa Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma si mette a disposizione per una serata organizzata allo scopo di raccogliere fondi. La necessità di simili eventi è dettata da circostanze amare. Zeichen, 78 anni, è stato colpito da un ictus emorragico e, mentre è sottoposto a un delicato percorso di cura e riabilitazione, appare chiaro che non sarà più possibile per lui tornare ad abitare nella precaria casupola di Borghetto Flaminio dove ha vissuto per decenni. Gli intellettuali che sostengono il poeta su questo sono chiari: Zeichen avrà bisogno di un ricovero più stabile, di assistenza costante e di sempre nuove cure che, com’è noto, costano. Ma proprio questo, in effetti, è il punto: che il valore della poesia di Zeichen sia riconosciuto da tutti, nulla toglie alla necessità, di fronte alla malattia e alla vecchiaia, di poter contare su un sistema sociale capace di riconoscere simili, umanissime esigenze e di farvi fronte. Perché se c’è una cosa che improvvisamente accumuna Zeichen ad altri milioni di comuni mortali che non scrivono poesie è proprio la malattia e la vecchiaia: milioni di persone senza volto né voce costrette a subire i rigori del nulla quando non hanno i mezzi per provvedere in autonomia al proprio ricovero e alla propria cura – o al ricovero e alla cura dei propri cari.
Non è atroce tutto questo? E non è assurdo che proprio il campo “intellettuale” si distingua per la sua incapacità di generalizzare, e quindi di politicizzare, le condizioni di Valentino Zeichen, collegandole a quelle di una massa costretta a subire i costi della crisi e a pagare – letteralmente – con la propria vita i rigori di un welfare ridotto allo zero?
Eppure, mentre fuori dai cenacoli in cui gli intellettuali pro-Zeichen si danno convegno si fanno i conti con il dramma di una situazione in cui il diritto alla salute è negato esattamente come quello alla casa, al lavoro, all’istruzione e a una pensione decorosa, ecco che a leggere meglio i nomi di chi chiede allo Stato di aiutare l’anziano poeta in difficoltà non si capisce più se quell’appello sia serio o se, in realtà, non ci sia dietro una gigantesca presa in giro. Perché non occorre alcuna patente da intellettuale per sapere che se Zeichen e altri milioni di anziani in Italia sono costretti all’indigenza, questo è dovuto a precise responsabilità politiche e alle finanziare lacrime & sangue varate – per parlare degli ultimi anni – dai governi Monti, Letta e Renzi, cioè, per restare tra i firmatari dell’appello di cui stiamo parlando, dagli stessi Edoardo Nesi, Mario Tronti (sì, proprio l’uomo che molti si ostinano a ricordare quale padre dell’operaismo italiano…) e Luigi Manconi, che di questi governi fanno o hanno fatto parte.

La firma di Nesi, Tronti e Manconi sull’appello pro-Zeichen sarà senz’altro molto meno pericolosa di quella che questi personaggi hanno già messo su un ventaglio di provvedimenti che spaziano dall’abolizione dell’articolo 18 al Jobs Act, dalla «buona scuola» al piano casa di Renzi e Lupi, con quale faccia ora possono riuscire ad associarsi per segnalare alla pubblica assistenza una persona la cui situazione è precisamente collegata ai provvedimenti che loro stessi hanno contribuito ad emanare?
La saggezza popolare non ha dubbi e, da sempre, stigmatizza una simile ipocrisia associando alla parola «faccia» il termine «culo». Mentre l’intero mondo della cultura è chiamato ad assumersi precise responsabilità, specialmente quando piange aiuti di Stato, sovvenzioni e sgravi fiscali senza avere, per ovvie ragioni di classe, alcuna intenzione di analizzare le proprie rivendicazioni in un ambito più largo, lo stesso ambito in cui l’unica domanda che ha senso porsi è «cosa me ne faccio di un libro se non ho nemmeno una casa?».
Augurando a Valentino Zeichen di rimettersi presto e a tutti gli anziani privi di copertura previdenziale di marciare compatti contro chi si arricchisce con i soldi delle loro pensioni mancate ed edifica le sue carriere politiche al servizio dei poteri forti, dedichiamo agli intellettuali di questi tempi grigi le parole di un altro poeta. Si chiamava Ho Chi Minh e diceva che anche i poeti devono imparare a lottare.

Gli antichi si dilettavano
a cantar la natura:
fiumi, montagne, nebbia,
fiori, neve, vento, luna.
Bisogna armare d’acciaio
i canti del nostro tempo.
Anche i
poeti
imparino a combattere!

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