“L’amore che ho cercato” di Cristiano Armati: perché leggerlo?

Recensione di Andrea Bressa, da Panorama.it del 25 marzo 2013

amore_cover:Layout 1Spesso la scrittura è il sintomo di un bisogno: quello di mettere in parole il dubbio. E in L’amore che ho cercato , il nuovo romanzo di Cristiano Armati (Giulio Perrone Editore), il protagonista ha un dilemma profondo da sbrogliare. Cappa, questo il suo nome, riflette sull’illimitatezza dei desideri e delle possibilità e sul richiamo dell’esistenza quotidiana, quella della “normalità”. Questi due poli nel romanzo hanno le fattezze di Fatou, stupenda ragazza di Bamako, nel Mali, conosciuta in un viaggio in Africa, e di Sofia, la sua compagna a Roma, dalla quale aspetta una bambina.

Africa ed Europa, Bamako e Roma, Fatou e Sofia, desiderio e realtà, piacere e dovere: sono questi i termini di paragone della riflessione di Cappa, sempre più stretto in una quotidianità a cui sente di non appartenere e smanioso di rivivere quel qualcosa d’altro che gli ha aperto gli occhi sulle migliaia di opportunità esistenti.

Ma Cappa sa anche che non è così semplice risolvere la questione. La difficoltà sta, citando Antonio Tabucchi, nel fatto che “potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo”. Così Cappa prova con un doloroso cinismo ad affrontare i suoi mostri, i suoi desideri e le aspettative attorno. Si condivide il dramma di Cappa: talvolta lo si biasima, altre lo si vorrebbe abbracciare. Disperazione e speranza si danno il cambio di pagina in pagina, in una narrazione contrassegnata da continui passaggi temporali e spaziali tra Roma e Bamako, tra il presente e il passato (possibile futuro).

Perché leggere L’amore che ho cercato? Perché l’autore non solo è capace di osservare alcuni aspetti tra i più profondi della mente e dell’animo dell’uomo, ma sa tradurli con una scrittura impetuosa e brillante, parlando anche attraverso le parole di altri autori (numerose le citazioni), da Guy de Maupassant a Salvatore Quasimodo, da Charles Bukowski a Ryszard Kapuscinski.

Nella storia di Cappa e del suo amore cercato, forse, si può anche trovare una sorta di attacco alla civiltà occidentale, sempre più fredda, cinica, impersonale.

L’amore che ho cercato

Recensione di Giuditta, da Libri.tempoxme.it del 27 febbraio 2013

L'amore che ho cercato di Cristiano ArmatiUn personaggio urticante Cappa, in L’amore che ho cercato di Cristiano Armati (Giulio Perrone, 2013), che ha il fascino perverso delle persone complicate. Ha il potere ipnotico di trascinarci in un’Africa vera, fatta di incontri e persone fatali, soprattutto donne, in contrasto con l’ipocrita e falsa Roma, in cui si ritrova a riprendere l’inconsistente vita di sempre, accanto a una donna, Sofia, che non ama ma che lo sopporta con passione e che sta per mettere al mondo una figlia. Cappa ha lasciato in Mali il vero se stesso e il grande amore della sua vita, Fatou, dopo aver sperimentato l’accoglienza di diverse donne.

Lo stile di Armati trascina in un turbine di sensazioni contrastanti, come multiformi sono i registri da lui usati, dall’alto al basso, che vale anche per il lessico che sa avvalersi delle forme scurrili e ampliarsi nella ricchezza di immagini e riflessioni. A volte greve e aggressiva, la filosofia di vita che è alla base dell’avventura africana di Cappa e che lo spinge all’irrequietezza e al disagio al ritorno a casa, tocca emotività profonde, espresse con lucidità tagliente:

Della famosa favola della volpe e l’uva, a me è un certo senso paradossale che la pervade ad avermi sempre affascinato. Perchè quando la volpe lascia perdere l’uva e se ne va dicendo che tanto l’uva è acerba, tutti godono nel vedere la volpe come una fallita e un’incapace. Mai nessuno che si chieda se l’uva non fosse stata acerba per davvero. Un modo come un altro per non immalinconirsi troppo. Perchè la volpe, in realtà, ha avuto la forza di fare esattamente ciò che a chi legge la favola è ignoto: rifiutare quello che passa il convento. Pensare che non sia affatto meglio accontentarsi. Cercare altrove anche quando il prezzo da pagare è quello di non mangiare affatto.

Cappa nella vita non è disposto ad accontentarsi, ma nello stesso tempo non trova la forza e la risolutezza di portare avanti un progetto più ampio di una vacanza. Esponente eccentrico di una generazione in bilico, che non sa da che parte andare e si ritrova allo sbando:

Giro su me stesso, prendo due volte il guardrail e mi fermo finalmente addosso a un palo, entrato dentro al cofano e arrivato a sfondare il parabrezza.

Sarà questo il punto di arrivo? La meta auspicabile?

Nell’Africa è il capovolgimento delle prospettive, l’unico luogo in cui Cappa ritrova un equilibrio, ma è come guardare il mondo a testa in giù, in un frenetico e continuo girovagare tra donne, alcool e bivacchi. Uno sguardo frammentato, che slitta dal piano personale a quello sociologico e politico, con punture fulminee che lasciano un fastidioso e persistente prurito. Armati, con la sua prosa tagliente, riesce a non edulcorare il mondo africano ma nello stesso tempo a mostrarne l’estrema libertà, il sogno, l’incanto che travolge Cappa. Un antieroe che non cerca simpatia nei lettori, ma che si lascia raccontare in tutta la carica sovversiva della sua figura:

Rispetto per quelle che sono le prerogative umane: mangiare quando si ha fame, andare a letto quando si ha sonno, conoscere l’amore quando è propizio il vento. Alzo le braccia al cielo e spero presto. Presto io e una donna nello stesso letto: la porta chiusa in faccia a tutti e la vergogna trasformata in un concetto alquanto strano; roba che non provano quelli come me: i nati privi del peccato originale.

Personaggi come Cappa, con l’acredine lucida verso il mondo in cui viviamo, con la violenza tracotante che è propria della loro indole, sono i più indicati a squarciare il velo inconsapevole con cui il nostro sguardo si poggia sulla realtà che ci circonda e sull’altrove.